Infine : ‘Come siamo arrivati sin qui?’

 

 

Tra libertà, innovazione e regresso, come prende avvio l’idea di Pubblica Amministrazione

Come siamo arrivati fin qui

“L’uomo è un animale politico” – lo diceva Aristotele in una sintesi meravigliosa del suo concetto di società civile, cittadinanza ed etica (definita etica nicomachea dal nome del figlio Nicomaco che raccolse in scritti i discorsi del padre). L’uomo per sua natura è egoista e tende a raggiungere la propria felicità ma ciò non è di per sé sbagliato se questa felicità viene inserita nel quadro più ampio del “bene comune” della società nella quale l’uomo vive. Mentre per Platone la felicità è un’idea irraggiungibile per Aristotele la felicità è l’azione che si intraprende per il conseguimento di essa. Quindi una virtù d’intermediazione tra l’uomo e l’ambiente, l’uomo ed i suoi simili, l’uomo nella sua vita pubblica. Questo concetto, nella sua logica stringente, ha affascinato secoli di generazioni successive. Si può addirittura affermare senza grande tema di smentita che fu Aristotele l’ispiratore della famosa asserzione “il fine giustifica i mezzi”, che con altre finalità pronunciò il Machiavelli nel “Principe” del 1513

Ma sia la Magna Grecia che il Sacro Romano impero, che il Rinascimento o anche il Secolo dei Lumi, parlavano di popolo ed impero, di democrazia o di dittatura, di gestione e di partecipazione, senza prevedere in alcun modo il concetto di “rappresentanza” o “delega”– idee per loro dai contorni ancora molto sfumati. Gestione, democrazia e partecipazione erano dirette, in linea di massima. Il Senato Romano era composto di elites che parlavano quasi in prima persona, dato l’esiguo numero dei membri della classe sociale di cui si facevano interpreti. In senso letterale si potrebbe dire con termine moderno essi si rendevano “autoreferenti”, rispetto alla totalità del popolo. Per le civiltà elleniche valse in sostanza questo salto di classe nei rapporti di “politeia”.

La democrazia partecipativa, “costitutiva” e “costituzionale” la troviamo, sì, in fieri in Atene, ma è una partecipazione assembleare, dall’aspetto ancora tribale e non molto includente, anzi si può dire escludente dei paria e di tutte le classi inferiori. Volendo sorvolare su Solone, Pisistrato e addirittura la Sparta di Licurgo (sulla quale ci sarebbe molto da rilevare, appuntare ed analizzare) basti, qui appena menzionare le riforme dell’ateniese Clistene. Nella sua riforma sociale diede maggior importanza all’Ecclesia (l’assembla popolare) i cui componenti erano scelti in proporzione su base geografica, secondo le tribù territoriali, in modo da rappresentare tutto il territorio, suddividendolo per classi geografiche. In essa ebbero maggior peso gli appartenenti ai ceti medi in numero maggiore su tutto il territorio.

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Nel corso di pochi secoli tutte le civiltà elleniche passarono dalla monarchia alla timocrazia con a capo un tiranno, il quale non sempre era un potente “negativo”. Anzi a volte aumentava il proprio regno in floridezza e benessere. Era nel suo interesse. Fino ai tempi bui del Medioevo – si assimilava all’idea di rappresentanza il concetto di associazioni di classi e categorie sociali. Con l’uscita dal Medioevo e lo scivolamento verso i Comuni – molto sentiti in Italia, persino oggi in forma decisamente nostalgica – la democrazia si fa sempre più espressione di classe, nel senso di “mestieri”. Altri esempi ne troviamo nella Magna Charta di Giovanni Senzaterra con la quale il sovrano concede diritti economici ad alcune classi sociali.

E’ la classe l’elemento distintivo che sin dai primordi caratterizza la partecipazione democratica alle “adunate” di popolo. Quindi, infine, fu proprio la concentrazione dei poteri nelle mani di un solo attore sociale (il re, l’imperatore), intorno al ‘600/700, (il ritorno dunque dell’antico imperialismo romano rivisto alla luce delle nuove scoperte scientifiche ma con una fede maggiore nell’uomo e nei suoi destini) che finì con il generare una serie di ramificazioni di classi intermedie, più evolute certo rispetto alle origini greco-romane ma molto più smalizziate ed impomatate e che finirono con l’assumere quell’aspetto utilitaristico, pragmatico, cinico e di “intermediazione” – se non addirittura di “filtro” tra il sovrano ed il popolo – di cui ampia e lucida analisi ne fece N. Machiavelli ben due secoli prima nell’osservare la borghesia dei comuni. L’assolutismo impose all’attenzione del mondo intero l’idea della necessità di gestire i pubblici affari attraverso gradini intermedi, gerarchici e gerarchizzanti, interponendosi tra la divinità ed i suoi sudditi. L’intermediazione, come su detto, viene tradotta con filtro. Nel ‘700 dunque – nel periodo di maggior fulgore della monarchia assoluta e della sovranità d’imperio nonché imperiale – lo “Stato” diviene sinonimo di Amministrazione della res pubblica d’origine romana. Lo sviluppo della borghesia durante il regno di Luigi XIV è assicurato dall’assolutismo monarchico ed è fondato sulla distinzione tra l’uomo privato e quello pubblico. Il suddito potrà fare i suoi affari ed esprimere una certa libertà di pensiero ma questa non dovrà mai entrare in conflitto con l’autorità del sovrano. Alla figura del popolo si sostituisce quella del sovrano – incarnazione della comunità.

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Al popolo dunque viene definitivamente tolto potere di decisione e lasciata la sola libertà individuale e personale – ormai siamo ben lontani dalla politeia greca – ma fino al limite in cui il sovrano non decidesse diversamente. Quindi, attuando una rapidissima sintesi, i passaggi storici fondamentali dell’organizzazione sociale-pubblica, nel senso filo-sociologico come gestione “democratica” di una data comunità, hanno attraversato il Sacro Romano Impero, sono passati per l’Imperialismo, sono approdati allo Stato Sovrano Repubblicano per scivolare infine alla Sovranità Sovranazionale (Comunità Europea e Comunità Internazionali). Un’origine assolutamente antropologica, un approdo un po’ “sui generis” per quella reciproca limitazione dei poteri che distingue le moderne “democrazie”. E proprio un altro passaggio storico imperiale come quello del potere napoleonico ha novellato, in Italia, i trattati di giurisprudenza ed i vari codici di diritto. E sempre per opera ed effetto di un potere unico e sovrano: Cavour e la dinastia Savoia, siamo giunti in Italia al riconoscimento dei diritti costituzionali, ottriati, perché concessi, e costitutivi – fondanti ed inalienabili – di un popolo che esige di essere amministrato con equità e giustizia, senza adunanza di popolo ma delegando le proprie intenzioni. La filosofia di fondo delle costituzioni è la cessione o meglio la delega di porzione del proprio potere da parte del popolo a chi può meglio amministrare il tutto, salvaguardando l’interesse dei singoli.

rousseauLa costituzione è il contratto sociale di Rosseau e la P.A. il suo braccio operativo. Ma l’amministrazione pubblica discende dal potere assoluto, come abbiamo visto, come la costituzione dal potere “sovrano”, in questo forse il “peccato originale” e/o originario del concetto di democrazia in generale, dopo Atene, s’intende. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo del dicembre 1948, mise un punto fondamentale su ciò che vuol significare democrazia, regole e diritti : l’uomo al centro, dopo la devastante esperienza nazifascista. E quindi da quel momento in poi, ciò che avevano già tentato l’illuminismo prima e la Rivoluzione Francese poco dopo, l’uomo è al centro delle politiche. Sempre con termine moderno si direbbe: è nell’agenda dei governi. Ma a questo punto la domanda sorge spontanea, direbbe il giornalista Lubrano, alla luce del fatto che il concetto di democrazia partecipativa si sviluppa proprio con i governi “assoluti” o “dittature” “è il popolo che genera la dittatura o è la dittatura a generare la democrazia partecipativa popolare”? E’ un punto di riflessione. Sono evidenti, invece, e molto meno filosofici, i difetti e le difficoltà delle moderne democrazie che portano con sé la necessità delle “gerarchie” per le “amministrazioni” – data anche la forte espansione demografica- e che ha creato le pubbliche amministrazioni attuali, le quali nel corso dei secoli hanno vissuto alterne fortune.

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Fino alle Leggi Bassanini. Infatti fino al 1990 non si è fatto altro che parlare di democratizzazione della p.a., di necessità di riformare la struttura resa ancora più apparato dall’esperienza del fascismo, sopraggiunto in seguito alle monarchie, assolute o meno. Con l’avvento della Repubblica Italiana, a carattere parlamentare e costituzionale, e dalle Leggi Bassanini in poi, l’esigenza si è focalizzata sulla modernizzazione della pubblica amministrazione alla luce dei rinnovati rapporti sociali instauratisi con la globalizzazione e la modifica degli assetti strutturali della società in continuo evolversi ed in continua ricerca di solidale omologazione (e per questo definita da Bauman “liquida”). La ri-riforma della P.A. è diventata così una rinnovazione, uno svecchiamento di una macchina ormai obsoleta nella sua filosofia di fondo in rapporto all’evoluzione dei tempi. Assetti e meccanismi giocoforza sono stati modificati, sveltiti, riattualizzati. Oggi – nel post Bassanini – la P.A. ha evidenziato la necessità di proseguire lo status quo verso l’innovazione. Innovazione è una nuova filosofia orientata al merito ed al progresso umano che ha come obiettivo la qualità della vita all’interno del cambio strutturale epocale e che è portatrice di valori e risultati positivi – non perchè posti ma perchè propositivi di miglioramento e benessere sociale, identificativi di tutti gli strati sociali, includenti e mai escludenti, perfezionanti e mai regredenti. In poche parole un auspicato ritorno a Socrate come contenuto da inserire all’interno della modernità. Almeno questo l’auspicio. *************

Che cos’è una P.A.?

Ma tutte queste “trasformazioni storiche” della civitas umana sono state accompagnate, soprattutto da un certo punto in poi da leggi. E’ dai tempi dell’Illuminismo che la definizione di Pubblica Amministrazione prende corpo. Soprattutto in Italia. Neanche i Comuni del Medioevo ebbero ben chiara quell’idea di gestione degli affari pubblici che si delineò proprio in Europa, con il re Sole e la sua filosofia tutta concentrata nella ormai famosa espressione “l’Etat ce moi”. Mi si potrebbe obiettare che già i romani sin dalla fondazione dell’Urbe, se non addirittura gli ateniesi da Socrate e Platone, sentirono la necessità di analizzare il miglior modo possibile di gestire un territorio ed una popolazione associata in “comunità” – per vasta o piccola che fosse.

LE TAPPE DELL’EVOLUZIONE DELLA P.A.

RIFORMA DELLA P.A. Si è avuta più o meno nel corso dei secoli ma soprattutto in Italia dal fascismo in poi, dalla Costituzione ed il Riconoscimento della Repubblica democratica e fino alle Leggi Bassanini

RINNOVAMENTO DELLA P.A. Dalle Leggi Bassanini in poi e relative modifiche degli assetti statutari strutturali e formali

INNOVAZIONE DELLA P.A. Dal cittadino utente al cittadino relazionato: la P.A. come interfaccia tra la politica e la cittadinanza : efficienza e cultura del servizio – l'informatizzazione come messaggio.

… to be continued ..

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